Racconti al Fuoco di Bivacco
  • Storie/Racconti-al-fuoco

Il diavolo a Villanova
2017-01-06 21:52:59
Una vecchia storia...

Gli scouts di Villanova hanno la loro sede a poco più di un tiro di schioppo, come si diceva una volta, dal fiume Savena. Le acque del fiume, un po’ torbide, scorrono entro un canalone verdeggiante scavato nella pianura e vanno a confluire, poco più avanti, in quelle dell’Idice, pressappoco dove erano, una volta, le capanne degli antichi Villanoviani, famosi per aver preceduto gli etruschi, nella lavorazione del ferro.
La storia parla di «civiltà villanoviana”» non senza un certo velo di mistero e ne sappiamo qualcosa noi che abitiamo sul posto. Infatti, anche se i reperti archeologici sono ormai nei musei, qualcosa è rimasto nell’aria. Vecchie storie che poi, col tempo, si sono aggiornate; vaghi timori notturni che si risvegliano al comparir della luna piena tra i pioppi; personaggi morti da chissà quanto tempo ma che rinascono continuamente nella memoria della gente, con contorni e fisionomie qualche volta precisi e qualche volta, invece, sfumati verso la leggenda. Una volta, sull’aia o nelle stalle, si parlava molto di più di loro: semplici episodi della vita, venati d’umorismo, diventavano un mito e certe battute del loro linguaggio assumevano dignità di proverbio o di modo di dire, consolati dalla frequente citazione.
Oggi invece tutti guardano «mamma televisione». Ci pensa il piccolo schermo a fornire i ricordi, mummificati in immagini, e ad arricchire il linguaggio comune in modo uniforme per tutta la comunità nazionale. E così i vecchi personaggi di paese entrano melanconicamente nell’inceneritore della storia locale, nella discarica della fantasia.
Chissà se un mondo senza fantasia sarà bello? Ne dubito!
Gli scouts e le guide sono certamente dei ragazzi del futuro: il nome e l’età lo garantiscono. Non disdegnano tuttavia recuperare anche il passato. Dice infatti una massima africana: «se bevi in un pozzo, ricordati di chi lo ha scavato!». Per questo, più che accettare le rappresentazioni dei fatti e le soluzioni predisposte dal supermercato televisivo o dai mass-media, come si dice oggi, gli «esploratori» preferiscono, quando è possibile vedere coi propri occhi e parlare direttamente con la gente.
L’esplorazione d’ambiente chiamata anche «Hike», è una delle loro attività preferite, perché permette di acquistare la capacità di vedere e di ascoltare, che poi aiuterà a capire ed in seguito ad agire con cognizione di causa. In campagna ci sono tante cose da vedere e da capire e s’incontra ancora tanta gente capace di raccontare, specialmente tra i più anziani. Gli scouts di Villanova qualche volta vanno ad accamparsi vicino alla confluenza dei fiumi, in una zona chiamata localmente «l’ Alta».
Forse su quella spianata sorgeva l’antico villaggio villanoviano; forse in tempi più recenti i Galli vi posero il loro accampamento, di fronte a quello romano di Publio Scipio Nasica che, stando allo stemma del comune, era piazzato al di là del fiume Idice. Se fossero qui i due accampamenti, o più a nord, è motivo ancora di discussione, ma certo è che lungo i secoli molta gente si è fermata sull’ «Alta» a contemplare lo scorrere del fiume, più impetuoso d’inverno, più tranquillo d’estate. Dicono che lo abbia fatto anche... il diavolo e che l’attuale percorso del Savena lo abbia tracciato proprio lui, in un momento di collera.
I vecchi della zona raccontano ancora una leggenda che i nostri scouts hanno raccolto e qualche volta anche presentato, con grande divertimento, al fuoco di bivacco.
La prima parte del racconto è comune a leggende di altre località. Qual è infatti quel paese che non ha il suo «ponte del diavolo?». Forse dipende dal fatto che il demonio è furbastro ma poco scaltro e soprattutto monotono. Ascoltate, dunque, e cercate d’immaginare le scene con gli occhi della fantasia.
Le vecchie carte geografiche dicono che qualche secolo fa il fiume Savena non si gettava, come oggi, nell’Idice, vicino all’«Alta». Andava invece pigramente in tutt’altra direzione: più ad ovest. A nord di Bologna c’è infatti un vecchio canale che si chiama ancora Savena abbandonato e verso la circonvallazione sorge un’antica chiesa parrocchiale che porta il titolo di S. Antonio di Savena, pur essendo ormai molto distante dall’attuale fiume omonimo. Come mai è avvenuto un cambiamento di corso così radicale?
I Koala - questo è il nome di una squadriglietta di guide più o meno bionde - credono di aver trovato la spiegazione di questo mistero interrogando una vecchia contadina, tanto vecchia che era già al mondo prima che Garibaldi morisse. Ecco il racconto della nonna Chiarina:

Qui sull’Alta, la vita era difficile, il terreno sembrava quasi stregato e ogni tanto affioravano delle zolle nere, che parevano uscite dall’inferno. Chissà che cosa doveva esser accaduto nei tempi passati. Un giorno, il nonno di mio nonno, ma forse era il bisnonno, vide un ometto seduto sul bordo di un fosso, sotto una «piantata» di vite.
- Che cosa fai lì?
- Cerco lavoro da garzone e mi accontenterò. Non giudicarmi dall’apparenza. So fare tutto e quindi potrei aiutarti moltissimo, anzi potrò farti ricco se mi ascolterai.
La proposta era allettante per un povero contadino, abituato a mangiare polenta, spesso condita con… niente!
- Mettimi alla prova e sarai contento.
Il nonno aveva da sterrare tutti i fossi. Prese una vanga e chiese al forestiero:
- Quanto tempo vuoi per rimettermi in sesto tutte le scoline?
Era un lavoraccio da rompere le braccia per un stagione, ma il nostro ometto assicurò che lo avrebbe portato a termine al massimo in due giorni.
La notte tirò un gran vento e tuonò come mai si era sentito; pareva che cento barrocci solcassero il cielo. Al mattino tutti i fossi erano netti, squadrati e nella giusta pendenza.
- Sei contento del lavoro? - chiese l’ometto mentre i suoi occhi lampeggiavano in modo strano.
- Che compenso mi darai? - soggiunse.
- Bravo! Ti darò tutto quanto crescerà su questo campo, tra la «cavedagna» e quella piantata d’uva. Torna al momento del raccolto - rispose il nonno, un po’ insospettito, e non a torto.
Al momento giusto l’ometto arrivò tutto baldanzoso, ma rimase con un palmo di naso. Nel campo erano state seminate rape e patate, che crescevano sottoterra; a lui spettavano solo delle foglie ingiallite. Il diavolo, avrete già capito che si trattava di lui, arrabbiato disse che non si erano intesi bene ma che era ancora disponibile per altri lavori, in cambio dei quali il prossimo anno avrebbe ricevuto tutto quanto sarebbe cresciuto sottoterra, sottoterra - ripeté - non in un campo ma in due, da segnare subito perché non ci fossero equivoci.
Il nonno in cambio gli fece scavare un macero, che fino a qualche anno fa era visibile e in funzione. La fantasia popolare lo aveva battezzato: «Al masnadur ad Berlech». Berlicche, lo sapete, è uno dei nomi del diavolo.
Anche quella volta fu sufficiente una notte di lavoro:
due grosse ruspe non avrebbero fatto né meglio né prima. L’opera era proprio completa poiché l’artista, per far apprezzare le sue indubbie capacità, aveva anche sistemato in bell’ordine sulle rive, alcune pile di grossi sassi: quelli che dovevano servire per «affondare» la canapa.
Al momento del raccolto il diavolo provò un altro grosso dispiacere poiché il nonno aveva seminato solo grano e pomodori. Si arrabbiò moltissimo e per spaventare il malcapitato che aveva osato prendersi gioco di lui, riprese le sue sembianze originali, con corna e piede caprino.
- Ora voglio la tua anima - urlò con un vocione rauco. Il nonno però, essendo devoto a S. Giuseppe e a S. Michele arcangelo, non si spaventò oltre quel tanto.
Gli era necessario mantenere la calma, per cercar di uscire da quell’inghippo senza troppi danni.
- Non ci si può prendere gioco di me - soggiunse Berlicche - senza pagare caro. Voglio tutto e subito!
- E va bene! Ma almeno un altro lavoro dovrai pur farmelo - ribatté il nonno, mostrando un pennello ed un barattolo di vernice.
Visto che il risultato sembrava ormai raggiunto e l’ultima prova da superare molto semplice, il demonio si rabbonì.
- Ordina - disse - e preparati a pagarmi subito. Il nonno, che aveva mangiato una bella zuppa di fagioli, emise allora un bel “venticello fisiologico”; gli uscì di corpo con una certa melodia e con un bel crescendo.
- Ed ora - disse - pitturala di rosso…! Vergognoso (si fa per dire) per la beffa subita, il diavolo s’infuocò tutto e fece per prendere il volo e scomparire.
Ma diavolo era e strisciò solo a lungo per terra, sollevando un gran polverone; tentò un gran salto e subito ricadde con un contorno di scintille e odor di zolfo e infine sprofondò sibillando in un gran buco, che intanto si era aperto nel suolo.
Quando si diradò la polvere e l’acre odore, il nonno ebbe la sorpresa di vedere che la strisciata del diavolo aveva scavato un gran canale ai confini del suo podere, fino al fiume Savena, le cui acque ormai trovavano piùcomodo iniziare un nuovo corso lungo questo passaggio.
Rimaneva il buco, di cui non si riusciva a vedere il fondo; anche facendo cadere dei sassi non si udiva alcun tonfo. I paesani lo trovarono comodo per scaricarvi dentro il pattume. Poi arrivarono anche i bolognesi con i loro rifiuti e in due secoli riuscirono a colmarlo, anzi a farvi sopra una montagna di «rusco», come lo chiamano qui. Con questo gran tappo fu preclusa l’uscita del demonio.
- Per quanto sia sudicio e puzzolente, farà fatica ad uscire di qua - disse qualcuno. - Qualche passaggio più facile lo deve però aver trovato in un’altra località: basta leggere i giornali per averne conferma. E così, raccontano, il fiume Savena cambiò corso e la città di Bologna trovò una discarica per il pattume là dove avvenne la svolta. La montagna di «rusco» si vede bene passando per la tangenziale, nei pressi dello svincolo di S. Lazzaro di Savena.
Sarà poi vero che le cose sono andate così? Gli scouts e le guide lo raccontano al fuoco di bivacco quando si accampano sull’«Alta». Forse lo fanno solo per spaventare un po’ i più piccoli!

Fuoco di Bivacco
Il diavolo a Villanova - Racconto al fuoco di bivacco - Maestro dei Giochi