Sam Andreucci, quand’era responsabile regionale scout dell’Emilia Romagna, una sera raccontò al fuoco di bivacco il seguente episodio:
Campo di prigionia - 1943. Desolata attesa della libertà nostra, ma più di tutto della liberazione della nostra Patria martoriata. Eravamo in cinque ufficiali sotto la tenda ai margini del deserto africano, bagnato dal nostro sangue in tanti anni di guerra. Stavamo coricandoci, quando un capitano, vedendo la cinghia di cuoio con la fibbia degli scouts che mi toglievo spogliandomi, mi chiese. «Anche tu sei stato esploratore?» e, senza attendere la mia risposta ,seguitò: - Io conoscevo poco quel movimento quand’ero ragazzo e in Italia c’erano gli esploratori, sentivo qualche cosa che mi pareva straniero nella foggia delle uniformi e nella mentalità dei giovani iscritti che avevo conosciuto; ne diffidavo… Poi passarono gli anni, più non li vidi e li dimenticai. Ora ti dirò come dopo tanto tempo mi sono ricreduto della mia convinzione. Avevo il comando di una compagnia a Mareth; fra gli ufficiali c’era un tenente, alto, bruno, di una forza e di una resistenza alla fatica rare a trovarsi. Era sempre calmo e sereno, ed era molto ben voluto dai soldati: soleva dire che gli Italiani sanno morire solo per amore ed essere benvoluti dai soldati significava poterli portare dove si voleva. Usava una cinghia di cuoio con la fibbia degli scouts, proprio come la tua, e quando era in maniche di camicia durante la giornata, la teneva bene in vista. Un giorno, quasi per stuzzicarlo, gli chiesi il significato di quel fiordaliso e di quel motto in latino: egli mi parlò di promessa, di antichi cavalieri, di un programma meraviglioso per un giovanetto; io poco capii e lasciai cadere la conversazione. Una volta fummo attaccati da un battaglione inglese dei Granatieri della Regina, bei soldati davvero. Contrattaccamo; tornammo sulla nostra posizione, il contrattacco non era riuscito. Mancava il tenente. Due dei suoi soldati uscirono a cercarlo verso il luogo dove doveva essere caduto. Lo trovarono… Accanto a lui un soldato inglese era in ginocchio e, in silenzio, gli teneva il capo sollevato. I soldati ristettero timorosi di turbare il morente. Egli tentò di sollevarsi, fece cenno di volersi alzare, poi lentamente si tolse la cinghia e la donò all’Inglese, poi in silenzio gli strinse la mano… e trapassò sorridendo: sembrava col sorriso rievocare visioni lontane della fanciullezza, visioni di una fratellanza resa più vera nell’ora del trapasso. I due soldati rientrarono col corpo del tenente e raccontarono che il soldato inglese, dopo aver composto il cadavere dell’ufficiale italiano caduto, aveva salutato con tre dita della mano destra riunite… e ripeterono il saluto che io avevo visto fare agli esploratori. - Capitano, - gli dissi - gli scouts di tutto il mondo hanno una legge che fra l’altro dice: «Lo scout è amico di tutti e fratello di ogni altro scout». Perciò il fratello inglese ha assistito il fratello italiano nell’ora estrema… Fra gli scouts si realizza quella fraternità che gli uomini tutti cercano. Gli altri compagni di tenda e di sofferenze dormivano. Dopo un lungo silenzio, il capitano esclamò: - Se è così, è bello. Quella sera pensai al soldato inglese, all’ufficiale caduto, ai nostri mille reparti, ai campeggi lassù sui monti della nostra Patria, quando eravamo esploratori… e mi parve, la tenda della mia prigionia, la tenda nostra di esploratori.