Siamo nel periodo degli inizi del dopoguerra... questa è una storia vera!
Nel 1947 l’opera di ricostruzione dellla nazione, uscita
distrutta dalla guerra, era ormai avviata; occorrerà
ancora tempo ma le ferite più gravi si stavano rimarginando.
Non bastava però ricostruire solo i ponti, le fabbriche
e le case, occorreva ancora ridare coraggio e
dignità ai cittadini. Si erano formati i partiti, si sviluppavano
le libere associazioni, prolificava la stampa ma
rimanevano ancora larghe sacche del territorio nazionale
in cui imperava la paura.
La lotta civile nell’ultimo anno di guerra era stata
violenta e spietata, intere famiglie erano scomparse, le
vendette non si erano fermate al termine del conflitto
militare, alcune forze politiche speravano ancora di
potersi imporre in modo totale e nelle zone in cui si
erano conquistate una grande influenza cercavano di
costringere al silenzio gli avversari, col timore e la velata
minaccia.
Occorreva spezzare questo cerchio pericoloso, prima
che si stringesse in modo definitivo, e mettere il cittadino
in condizioni di potersi ovunque esprimere liberamente; occorreva mostrare che c’erano altri, molti e
senza paura, che non la pensavano allo stesso modo. A
tutti doveva essere riconosciuto il diritto di scendere
sulle piazze a manifestare il proprio pensiero senza essere
derisi, senza essere segnati in pericolosi libri neri o
rossi, e senza paura di ritorsioni.
Per questo i movimenti giovanili cattolici, decisero di organizzare una grande
riunione a Bologna, considerata la roccaforte e il
dominio esclusivo di alcune forze politiche di sinistra.
Occorreva dimostrare che nessuno doveva essere considerato
cittadino di «serie C» e che il progresso ed i giovani
non erano patrimonio esclusivo di uno o due partiti
alleati, al di fuori dei quali sembrava che dovessero trovar
posto solo le suore, i sagrestani e le vecchiette.
Da tutta l’Italia settentrionale e con ogni mezzo, convennero
a Bologna migliaia di giovani. Piazza Maggiore
non fu sufficiente a contenerli; gridarono la loro gioia e
la loro speranza in un mondo libero e sereno, cantarono
i loro canti e sventolarono le loro bandiere, celebrarono
tutti insieme l’Eucarestia e percorsero in corteo le principali
vie cittadine. In testa a tutti erano migliaia di
scouts. La città si meravigliò, si scosse , applaudì; chi
aveva timore si rincuorò, chi sperava ancora nella prepotenza
come mezzo di persuasione dovette fare un
esame di coscienza. La libertà stava vincendo, la cappa
di piombo della paura cadeva a pezzi e i «triangoli della morte» potevano esser ormai considerati, con sollievo,
solo un triste ricordo. Le cose stavano finalmente cambiando:
il timore di aver solo cambiato regime, dal nero
al rosso, si dissolveva; i cittadini riprendevano il coraggio
delle proprie idee e la fiducia in un vivere civile e
democratico.
La vecchia mentalità totalitaria, ereditata dal fascismo,
respirata per decenni, faceva tuttavia ancora fatica
a tramontare. Troppi erano coloro che avevano semplicemente
cambiato casacca con la speranza di poter continuare
a usare gli stessi sistemi; molti si illudevano che
la libertà spettasse solo al loro partito e servisse a mettere
in silenzio tutti gli altri, considerati in blocco cattivi e
reazionari. E i cattivi erano da punire, magari con le
bombe, poiché anche allora c’era chi credeva di poter
convincere gli avversari con questi sistemi fragorosi e
violenti.
Spesso l’avversario da punire era il prete, responsabile
di togliere alle organizzazioni del «partito» tutta una
serie di ragazzetti, che preferivano ritrovarsi all’ombra
del campanile per respirare malsane ed antiquate ideologie
o per giocare ai «Boy scouts».
Ed anche quel giorno, 23 di Settembre, mentre a
Bologna si riunivano migliaia di giovani cattolici, qualcuno,
per ritorsione, pensò bene di mettere una bomba
davanti alla porta della canonica di Ceretolo, una frazione
qualche chilometro oltre Casalecchio di Reno. Lo scoppio ferì a morte un ragazzo e ne mandò all’ospedale
un altro ed il parroco.
I due ragazzi, Cesarino, un Aspirante di A.C. e
Roberto, un giovane scout, avevano servito Messa al parroco
e poi si erano fermati a parlare con entusiasmo del
convegno che stava iniziando a Bologna.
In quei tempi non si andava in villeggiatura sulle
Dolomiti; una casa di campagna, anche vicino a
Bologna, era già una grande occasione di svago e la
canonica del paese era il naturale punto d’incontro degli
studenti in vacanza. Si serviva Messa, si ripassava la
grammatica di latino con il parroco, si leggeva il
«Vittorioso» con i cineromanzi di Jacovitti, si disputava
una partita a ping pong…
Quel giorno, in clima di entusiasmo per il convegno
di Bologna, Cesarino stava raccontando a Roberto le sue
esperienze con i Grest, i famosi gruppi estivi degli
Aspiranti di Azione Cattolica e il suo interlocutore, per
non essere da meno, sfoderava il ricordo delle sue avventure
al campo estivo scout. Don Guerrino faceva da
moderatore in questo nobile confronto, sorridendo per
l’entusiasmo e lo spirito di corpo dei suoi giovani amici.
Ad un certo momento, Roberto si ricordò che nella
biblioteca del parroco c’era il volume di Baden Powell:
Scautismo per ragazzi edito da Salani.
«Voglio farti leggere la Legge scout che deriva da quella
degli antichi cavalieri», disse a Cesarino, e si alzò per recarsi nel locale accanto.
Si era appena allontanato di qualche passo, quando
una tremenda esplosione sventrò la porta e gettò a terra
tutti e tre. Per Cesarino, il giovane aspirante di A.C., la
bomba aveva aperto anche la porta del Paradiso. Don
Guerrino, colpito pure lui in pieno, riuscì a salvarsi anche
se le gravi ferite lo resero invalido e i loro postumi favorirono
poi, a distanza di qualche anno, l’insorgere di un male incurabile che lo portò a raggiungere Cesarino in
Paradiso.
Roberto, essendosi allontanato ormai di qualche
passo, fu ferito ma non in modo gravissimo e riuscì a
cavarsela con un lungo periodo d’ospedale.
Gli amici scouts che lo visitarono non trovarono
strano che tenesse sempre sotto il cuscino una copia
dello Scouting for boys.