Racconti al Fuoco di Bivacco
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Tra la vita e la morte
2017-01-06 23:23:04
l Jambore di America mi raccontarono la storia di Patrizio La Rose, uno scout di Paramus nel New Jersey (USA). La storia, molto commovente, mi fece del bene e per questo proposi di farla conoscere la cittadina di Longarone.

Patrizio, o meglio Pat, come lo chiamavano confidenzialmente gli amici, con quel tipico gusto che hanno gli americani di abbreviare i nomi propri, era un ragazzo come te, sveglio, entusiasta della vita, deciso a sfruttare bene l’energia dei suoi quasi quattordici anni, lanciandosi in pieno nelle belle imprese delle attività scout. Ormai non era più un «piede tenero» ed aveva al suo attivo una bella esperienza di vita all’aperto. La tragedia scoppiò proprio il giorno del suo quattordicesimo compleanno, il 28 settembre 1953. Quel giorno invece di essere di festa, come Pat si immaginava da tempo, fu il primo di un lungo periodo di malattia, una terribile malattia, la poliomielite, che difficilmente avrebbe abbandonato la sua preda. Un attacco improvviso, inaspettato e violento lo immobilizzò nel letto. Pat forse si rese conto della gravità della sua situazione solo quando, terminato il trambusto del trasporto d’urgenza all’ospedale, si trovò prigioniero nella cassa d’acciaio del polmone artificiale.
Per lui erano forse terminate per sempre le belle corse all’aria aperta, le imprese con la squadriglia, i campi negli sterminato boschi americani. Non avrebbe più potuto, come sognava, scendere i fiumi in canoa o tentare di avvicinarsi, non visto, agli animali selvaggi per studiare i loro movimenti.
«Perché proprio a me? - esclamò con angoscia - che cosa ho fatto?» L’infermiera che lo assisteva, una donna che evidentemente sapeva il fatto suo, invece di consolarlo dolcemente, ebbe il coraggio e la saggezza di rispondergli: «Se parli ancora così, toglierò il Crocefisso che c’è nella tua stanza, perché Lui non si è rifiutato di soffrire per te!».
Gesù aveva aspettato quel momento per parlare a Patrizio, come mai aveva fatto, nemmeno durante le suggestive messe al campo o al termine del fuoco di bivacco, quando la preghiera sorge spontanea. Patrizio lo ascoltò!
È nel dolore che si fortificano le amicizie: Patrizio seppe trasformare il suo sacrificio nel mezzo più efficace per dimostrare il suo amore a Gesù. Da quel giorno non si lamentò più.
«Sai - disse un giorno al babbo - sono contento di essere ammalato di polio perché attraverso la mia malattia ho imparato veramente a conoscere ed amare Gesù».
La sua sofferenza seppe offrirla per tutti, ma in particolare per le missioni, per i profughi e per gli sforzi che in quel tempo di gravi tensioni internazionali, le Nazioni Unite compivano per allontanare lo spettro della guerra.
Gli scouts del reparto che andavano spesso a trovarlo, confessavano sinceramente che chi traeva più vantaggio da queste visite erano proprio loro che le compivano. Pat, infatti, era ritornato allegro come un tempo, sorridente e comunicava a tutti il suo altruismo ed il suo ottimismo: aveva ripreso a studiare ottenendo dei voti eccellenti negli esami che naturalmente sosteneva in ospedale con procedura straordinaria. Per tutti era un motivo di buon esempio.
Il suo medico confessò che in quarant’anni di professione non aveva mai incontrato un malato così ottimista. «Sapete - disse un giorno Pat ai suoi amici di squadriglia - noi pensiamo troppo a star bene. Questi anni di malattia sono un nulla a confronto del Paradiso». Dopo la sua morte si imparò che il suo ideale era di diventare sacerdote e missionario.
Purtroppo la polio fu inesorabile. Erano ormai passati tre anni e mezzo, Pat seppe dare sempre sorridendo anche l’addio alla vita che gli sfuggiva. Morì proprio il giorno del suo onomastico, il 17 marzo 1957, festa di S. Patrizio.

Purtroppo rileggendo questo mio articolo, mi accorgo di non aver saputo trovare tutte le parole adatte per ricordare nel modo più conveniente questo nostro fratello scout, che non abbiamo conosciuto personalmente, ma il cui ricordo è ora ugualmente nel nostro cuore. La sua sofferenza, il suo sorriso, il suo esempio ci dicono che al di là delle belle tecniche scout, delle imprese e delle missioni, dei campi e dei bivacchi, ci sono cose che valgono ancor di più e che quindi ogni esploratore deve possedere in misura sempre più abbondante: lo spirito scout, l’amicizia con Gesù. Normalmente si raggiungono attraverso le attività scout ma non è indispensabile seguire questa via soprattutto se le circostanze lo proibiscono. Si possono vivere e perfezionare infatti anche stando rinchiusi in un polmone d’acciaio: l’importante è conquistarle seguendo il piano che Iddio ha tracciato per ciascuno di noi, perché sono tra gli strumenti più efficaci per migliorare il mondo. Non è forse vero che dopo aver letto la storia di Pat ci sentiamo migliori?

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