l Jambore di America mi raccontarono la storia di Patrizio La Rose, uno scout di Paramus nel New Jersey (USA). La storia, molto commovente, mi fece del bene e per questo proposi di farla conoscere la cittadina di Longarone.
Patrizio, o meglio Pat, come lo chiamavano confidenzialmente
gli amici, con quel tipico gusto che hanno
gli americani di abbreviare i nomi propri, era un ragazzo
come te, sveglio, entusiasta della vita, deciso a sfruttare
bene l’energia dei suoi quasi quattordici anni, lanciandosi
in pieno nelle belle imprese delle attività scout.
Ormai non era più un «piede tenero» ed aveva al suo
attivo una bella esperienza di vita all’aperto.
La tragedia scoppiò proprio il giorno del suo quattordicesimo
compleanno, il 28 settembre 1953. Quel
giorno invece di essere di festa, come Pat si immaginava
da tempo, fu il primo di un lungo periodo di malattia,
una terribile malattia, la poliomielite, che difficilmente avrebbe abbandonato la sua preda. Un attacco improvviso,
inaspettato e violento lo immobilizzò nel letto. Pat
forse si rese conto della gravità della sua situazione solo
quando, terminato il trambusto del trasporto d’urgenza
all’ospedale, si trovò prigioniero nella cassa d’acciaio del
polmone artificiale.
Per lui erano forse terminate per sempre le belle
corse all’aria aperta, le imprese con la squadriglia, i campi
negli sterminato boschi americani.
Non avrebbe più potuto, come sognava, scendere i
fiumi in canoa o tentare di avvicinarsi, non visto, agli animali
selvaggi per studiare i loro movimenti.
«Perché proprio a me? - esclamò con angoscia - che
cosa ho fatto?» L’infermiera che lo assisteva, una donna che evidentemente sapeva il fatto suo, invece di consolarlo
dolcemente, ebbe il coraggio e la saggezza di
rispondergli:
«Se parli ancora così, toglierò il Crocefisso che c’è
nella tua stanza, perché Lui non si è rifiutato di soffrire
per te!».
Gesù aveva aspettato quel momento per parlare a
Patrizio, come mai aveva fatto, nemmeno durante le suggestive
messe al campo o al termine del fuoco di bivacco,
quando la preghiera sorge spontanea.
Patrizio lo ascoltò!
È nel dolore che si fortificano le amicizie: Patrizio
seppe trasformare il suo sacrificio nel mezzo più efficace
per dimostrare il suo amore a Gesù. Da quel giorno non
si lamentò più.
«Sai - disse un giorno al babbo - sono contento di
essere ammalato di polio perché attraverso la mia malattia
ho imparato veramente a conoscere ed amare Gesù».
La sua sofferenza seppe offrirla per tutti, ma in particolare
per le missioni, per i profughi e per gli sforzi che
in quel tempo di gravi tensioni internazionali, le Nazioni
Unite compivano per allontanare lo spettro della guerra.
Gli scouts del reparto che andavano spesso a trovarlo,
confessavano sinceramente che chi traeva più vantaggio
da queste visite erano proprio loro che le compivano.
Pat, infatti, era ritornato allegro come un tempo, sorridente
e comunicava a tutti il suo altruismo ed il suo ottimismo: aveva ripreso a studiare ottenendo dei voti eccellenti
negli esami che naturalmente sosteneva in ospedale
con procedura straordinaria. Per tutti era un motivo di
buon esempio.
Il suo medico confessò che in quarant’anni di professione
non aveva mai incontrato un malato così ottimista.
«Sapete - disse un giorno Pat ai suoi amici di squadriglia
- noi pensiamo troppo a star bene. Questi anni di
malattia sono un nulla a confronto del Paradiso».
Dopo la sua morte si imparò che il suo ideale era di
diventare sacerdote e missionario.
Purtroppo la polio fu inesorabile. Erano ormai passati
tre anni e mezzo, Pat seppe dare sempre sorridendo
anche l’addio alla vita che gli sfuggiva. Morì proprio il giorno del suo onomastico, il 17 marzo 1957, festa di S.
Patrizio.
Purtroppo rileggendo questo mio articolo, mi accorgo di
non aver saputo trovare tutte le parole adatte per ricordare nel
modo più conveniente questo nostro fratello scout, che non
abbiamo conosciuto personalmente, ma il cui ricordo è ora
ugualmente nel nostro cuore.
La sua sofferenza, il suo sorriso, il suo esempio ci dicono
che al di là delle belle tecniche scout, delle imprese e delle missioni,
dei campi e dei bivacchi, ci sono cose che valgono ancor
di più e che quindi ogni esploratore deve possedere in misura
sempre più abbondante: lo spirito scout, l’amicizia con Gesù.
Normalmente si raggiungono attraverso le attività scout ma
non è indispensabile seguire questa via soprattutto se le circostanze
lo proibiscono. Si possono vivere e perfezionare infatti
anche stando rinchiusi in un polmone d’acciaio: l’importante è
conquistarle seguendo il piano che Iddio ha tracciato per ciascuno
di noi, perché sono tra gli strumenti più efficaci per
migliorare il mondo. Non è forse vero che dopo aver letto la storia
di Pat ci sentiamo migliori?