Il santo cavaliere con la bianca armatura che combatte il drago rimarrà una delle immagini evocative più chiare e forti della lotta del bene contro il male.
Vi propongo due leggende su San Giorgio.. buona lettura!
La prima leggenda, anche in ordine di tempo, si trova ne la “Legenda Aurea”, scritta da Jacopo da Varazze nel XIII secolo, che contiene storie sulle vite dei santi.
Si narra che in una città chiamata Selem, in Libia, vi fosse un grande stagno. Nella sua melma si nascondeva un drago che, quando si avvicinava alla città, uccideva con il fiato di fiamma tutte le persone che incontrava. Gli abitanti gli offrivano due pecore al giorno per placarlo, ma quando queste cominciarono a scarseggiare, furono costretti a offrirgli una pecora e un giovane tirato a sorte.
Un giorno fu estratta la giovane figlia del re, la principessa Silene. Il re, terrorizzato, offrì il suo patrimonio a metà del regno per non perderla, ma la popolazione si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli. Dopo otto giorni di tentativi, il re alla fine dovette cedere e la giovane si avviò verso lo stagno per essere offerta al drago.
In quel momento passò di lì il giovane cavaliere Giorgio, il quale, saputo dell’imminente sacrificio, tranquillizzò la principessa, promettendole il suo intervento per evitarle la brutale morte. Poi disse alla principessa Silene di non aver timore e di avvolgere la sua cintura al collo del drago; il quale prese a seguirla docilmente verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma il santo li tranquillizzò dicendo di non aver timore perché Dio lo aveva mandato per liberarli dal drago e se avessero abbracciato la fede in Cristo, avrebbero ricevuto il battesimo e il mostro sarebbe stato ucciso. Allora il re e la popolazione si convertirono, il cavaliere uccise il drago e lo fece portare fuori dalla città, trascinato da quattro paia di buoi.
La seconda leggenda che segue è ambientata in Brianza, ed è contenuta nel “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani”, scritto tra la fine del 1200 e gli inizi del 1300 da Goffredo da Bussero.
Correva all’incirca l’anno 270 Dopo Cristo. A quel tempo un certo Giorgio, che in seguito divenne Santo, viveva sulle prealpi brianzole, più precisamente entro quelli che oggi sono i confini del Comune di Asso. Tutta la zona che va dall’attuale città di Erba fino alla Vallassina divenne territorio di caccia di un terribile drago, altrove conosciuto col nome di Ardrabuc, ma che gli abitanti della zona ribattezzarono “Furia Oscura” per via della sua malvagità. Ammorbava l’aria con un fiato pestifero e le greggi di pecore, in particolare quelle di Crevenna, erano il suo cibo preferito. Quando sull’altopiano, nei paesi vicini e in tutta la valle non ci furono più pecore da divorare, Ardrabuc iniziò a bruciare dapprima i campi, poi le case in cerca di altro cibo. La gente del paese prese allora la drammatica decisione di offrirgli in sacrificio giovani del villaggio, estratti a sorte, al fine di placare le sue ire. Il fato volle che un giorno tra le vittime designate venisse indicata anche la nobile principessa Cleodolinda di Morchiuso, che fu legata ad una pianta di sambuco e abbandonata al suo triste destino. Il valoroso Giorgio, che aveva un debole per la principessa, non appena venne a conoscenza di questa notizia partì immediatamente dalla Valbrona in soccorso della giovane, cavalcando il proprio destriero bianco; strada facendo escogitò una sottile astuzia per poter ammansire la belva una volta giunto nel luogo ove il sacrificio stava per compiersi. Durante il viaggio, si fermò da un fornaio e acquistò numerosi dolcetti ricoperti con i petali dei fiori del sambuco. Quando giunse dalla principessa trovò il mostro pronto ad addentare le carni della ragazza, ma riuscì a distoglierlo da quella occupazione e lo attirò verso di sé, quindi estrasse i dolcetti dalle proprie tasche e li gettò tra le fauci dell’oscuro e furioso Ardrabuc.
La diabolica creatura, grazie all’effetto rilassante generato dai fiori del sambuco, da belva spietata che era, divenne improvvisamente docile come un cagnolino e seguì senza esitare Giorgio (che nel frattempo con un colpo di spada aveva liberato Cleodolinda) fino alle prime case di quello che oggi è il paese di Eupilio.
Qui, di fronte al castello, il futuro Santo estrasse indomito la sua lucente e benedetta spada che, appena liberata dalla fodera, si mosse veloce verso la giugulare del drago decapitandolo con un movimento fulmineo e deciso. Accadde così che la testa del mostro rotolò sconfitta e sanguinolenta, senza arrestarsi, in una capitolante discesa, fino al Lago di Pusiano; venne catturata, rimbalzata e sospinta dalle sue onde finché si inabissò oltre l’Isola dei Cipressi, mentre il resto del corpo veniva dato alle fiamme. Le acque del lago voracemente inghiottirono il capo del mostro e si narra che ancora oggi esse custodiscano fiere l’unica reliquia del drago famelico che da mangiatore di uomini divenne il pasto del placido specchio d’acqua. I melmosi e torbidi fondali mai restituirono il cranio della belva: molti l’hanno cercato, alcuni affermano di averlo veduto, ma mai, mai nessuno ne ha portato vera prova. I pesci ne sono testimoni, si trova ancora lì, immobile tra terra e flora, tra acqua e sabbia, tra realtà e leggenda, tra noi e il lago: è lì che attende di mostrarsi nuovamente a tutti.
In ricordo dell’avvenimento ancora oggi il 23 Aprile, giorno di San Giorgio, in Brianza si preparano i “Pan meitt de San Giorg”, dolci di farina gialla e bianca, latte, burro e fiori essiccati di sambuco. I Pan meitt si gustano tradizionalmente con la panna: per questo l’eroico San Giorgio, patrono dell’Inghilterra, dei militari e degli SCOUT , è anche il protettore dei lattai lombardi, che un tempo tenevano in negozio un altarino a lui dedicato.