Questa storia mi è stata raccontata da Piero, caposquadriglia dei Bisonti del Bologna 16°, pressappoco in questi termini:
L’anno scorso, durante il campo estivo, la mia squadriglia
fu inviata in Hike, per tentasei ore, fino al santuario
di Boccadirio.
Tutto era andato bene fino al pomeriggio del ritorno.
Eravamo un po’ in ritardo perché la compilazione dei
disegni del santuario ci aveva portato via più tempo del
previsto.
D’altra parte - come tu sai - la nostra squadriglia ha
sempre avuto la tradizione di presentare delle relazioni
d’impresa molto ben fatte, dettagliate e diligneti.
Decidemmo allora di rientrare per il sentiero che,
passando a sud attraverso i boschi, taglia fuori
Castiglione dei Pepoli e teoricamente doveva abbreviare
il percorso. Sulla carta topografica la soluzione sembrava
ottima ma in pratica si rivelò fallimentare, perché il
famoso sentiero era stato rilevato dagli operatori
dell’I.G.M. nel 1934, quando serviva ai carbonari, ed ora,
a distanza di quarant’anni, era ormai invaso e coperto
dalla vegetazione.
Quando cominciarono a scendere le tenebre ci trovammo
“imboscati”. In quel momento la mia responsabilità
di caposquadriglia si mise in crisi: non sapevo più dove
portare i miei esploratori. Decisi allora di ordinare
una sosta per studiare insieme i da farsi.
Mettemmo subito la cosa in ridee per cercare di vincere
il timore comprensibile dei più piccoli e... non solo
loro. Insomma ci eravamo persi!
Poiché a stomaco pieni si ragiona meglio, decidemmo
di cenare con quanto ci era rimasto dei viveri, usando
anche la piccola razione di emergenza, che in squadriglia
ci portiamo sempre dietro nelle uscite lunghe.
Intanto si era fatto buio, un buio che sembrava ancora più intenso a causa della situazione «oscura» in cui ci
trovavamo.
Mentre discutevamo se fermarci o continuare il cammino,
per cercare di raggiungere il campo, sentimmo dei
passi nel bosco e vedemmo tra gli alberi il fascio di luce
di una lampada a pile.
Rimanemmo per un attimo interdetti ma poi ci rassicurammo
quando le due ombre, che avanzavano in
silenzio, alla luce del fuoco da noi acceso, si rivelarono
come due scouts in perfetta uniforme ed attrezzati per un hike.
Nel periodo estivo, in quelle zone non è raro incontrare
altri scouts che campeggiano in località limitrofe.
Fraternizzammo subito ma non riuscimmo ad impareare
di che Reparto fossero. Come il discorso arrivava
su questo interrogativo, per quanto tentassimo di trattenerlo,
finiva sempre per scivolare su altri diversi argomenti.
Uno dei due scouts era più loquace, l’altro più silenzioso
ma sempre attento e sorridente: un sorriso che,
ripensandoci oggi, aveva qualcosa di misterioso.
Parlando, i due scouts fecero capire di avere una
buona conoscenza della zona e si offrirono di aiutarci a
ritrovare la strada del nostro campeggio. Ci avrebbero
accompagnati anche per un tratto del sentiero, poiché
stavano andando nella stessa direzione.
Spento il fuoco e fatte scomparire le tracce, a cuor leggero
riprendemmo allegramente il cammino.
Le nostre «guide» si muovevano con grande sicurezza
nel bosco ed io mi chiedevo come facessero nel buio a
ritrovare il sentiero con tanta facilità.
Il livello tecnico del loro Reparto doveva essere certamente
molto alto, a giudicare dalla preparazione dei
due scouts.
L’attenzione al percorso non li esimeva poi dal
chiacchierare allegramente, ma sempre sottovoce -
ricordo bene - forse per non turbare l’atmosfera notturna del bosco.
Come erano padroni del percorso, ben presto s’impadronirono
del discorso, in un modo tanto piacevole da
meravigliarci. Alla sensazione di paura, che le tenebre
prima avevano destato nei nostri animi, ora era subentrata
una strana sensazione di tranquillità e di leggerezza.
Il buio era diventato come una morbida ovatta che ci
proteggeva. Mi sembrava di camminare nelle, o meglio,
sopra le nuvole. Questa sensazione confessarono poi di
averla avuta tutti i miei squadriglieri, ed anche oggi a
ripensarci, pur dopo tanto tempo, ci sembra di riprovarla,
come potrei dire, sulla nostra pelle. È una strana sensazione
che credo di non riuscire a spiegare.
Se ci provo
mi sembra quasi di rovinarla. Anche il tempo pareva
scomparso, quasi fossimo…fuori del mondo.
Anche il secondo scout, quello più silenzioso e sorridente,
prese la parola, dopo che l’altro ci aveva raccontato,
con tanto entusiasmo, episodi della fraternità scout
e dei Jamborees.
Si mise a parlare della Legge scout, di tanti esploratori
e di tante guide che l’hanno seguita con entusiasmo;
ci parlò delle loro Buone Azioni e del loro impegno e del
loro stile di vita. Il discorso fluiva semplice, sereno ed
avvincente. Il timore era veramente svanito e il bosco era
tornato amico. Avemmo anche l’impressione che gli animali
selvatici si avvicinassero in silenzio, per veder passare
i loro amici scouts. Quando meno ce lo apettavamo - anche il tempo,
come ho già detto, non sembrava per nulla trascorso -
vedemmo in basso, nella valle, un gran fuoco, che si
rifletteva danzando sulle tende del nostro campo.
Evidentemente i capi, immaginando la nostra situazione
di difficoltà, tenevano acceso quel segnale, per aiutarci a
ritrovare la giusta direzione.
Tirammo un gran sospiro di sollievo: ormai eravamo
«a casa».
I nostri amici indicarono un sentiero che prendeva
una direzione diversa: loro dovevano proseguire per
quello. Ci salutammo fraternamente e li vedemmo scomparire
nel buio.
Solo allora ci accorgemmo che come non eravamo
riusciti a sapere di che Reparto fossero, nemmeno avevamo
imparato dove era accampato il loro Reparto.
Arrivammo al campo col timore di una sgridata del
Capo per il ritardo. Il suo tono di voce lasciava trasparire
una giusta preoccupazione, che doveva avergli tolto la
tranquillità fino a quel momento, e che ora finalmente
poteva essere messa da parte.
Ci offrì un bel tè caldo coi biscotti poi chiese le ragioni
del ritardo e si fece raccontare le nostre avventure.
Arrivò anche l’Assistente che era uscito in macchina per
cercarci lungo la strada provinciale. Il «Don» si ripromise
di andare il giorno successivo a ringraziare il Capo dei
due scouts. Ma dove? Noi non eravamo in grado di dare delle indicazioni ma lui conosceva molto bene la zona e
sapeva quali potevano essere i luoghi di campo entro un certo raggio. Se i due scouts erano giunti a piedi fino
quasi da noi e avevano una conoscenza così grande dei
sentieri locali, non dovevano essser accampati troppo
distanti.
Il nostro Assistente fece un largo giro in auto,
esplorò proprio tutte le località che potevano ospitare le
tende degli scouts, interrogò parroci, carabinieri e bottegai
ma nessuno aveva visto altri esploratori accampati
nella zona. Tutte le ricerche risultarono inutili: nessun
Reparto era nei dintorni In tutti noi rimase il dispiacere di non aver ritrovato
quei due esploratori tanto simpatici e, oserei dire,…
tanto scout.
Poi venne la sorpresa: durante una riunione di squadriglia,
nel mese di Dicembre, prima del campo invernale,
prendemmo dalla biblioteca di Reparto alcune vecchie
annate de’ «L’Esploratore» (quelle bellissime di una
volta), per cercare qualche idea di attività.
Ci mettemmo a sfogliare le riviste ed improvvisamente
una foto ci lasciò tutti di sasso: era la foto, e tutti
ci trovammo concordi nel riconoscerla, di uno dei due
scouts che ci avevano aiutato in quella famosa notte,
ormai passata nella leggenda. Ma come era possibile? La
rivista, infatti, era stata stampata dieci anni prima e sotto
la foto era riportata la triste notizia della morte di quello
scout durante un’attività notturna del suo Reparto.
Anche il nome corrispondeva. Ma c’è dell’altro: nessuno
di noi, per quanti sforzi facesse, riusciva a ricordare il
nome dell’altro scout, quello più silenzioso, e, a tutt’oggi,
nessuno è più riuscito a farselo venire in mente.
Tu, che ne dici?.