Gli scouts e le guide dovrebbero possedere tutti un “libro di caccia” su cui annotare le cronache più significate delle loro attività. Dal libro di caccia di Marco:
C’era una volta... incominciò a raccontare Don
Nunzio, una delle prime sere al fuoco di bivacco, e
piano piano uscì dalla sua bocca tutta la leggenda di
Brasimone, un giovane ardito e buono che aveva seguito
in esilio il figlio del suo re, sovrano delle contrade ove ora era posto il campo.
Erano stati lontano
tanto, poi saputa
la notizia della morte
del re, erano tornati
portando un segreto.
Si era impadronito
intanto della zona un
re malvagio e cattivo,
che tese loro un
agguato all’ingresso
della valle del Rio
Torto. Il figlio del re
fu ucciso, Brasimone
scomparve e non si
seppe più nulla di lui.
Forse anche lui fu
soppresso.
La leggenda si è
tramadata nella zona
attraverso centinaia
di anni, insieme al
desiderio di conoscere
quel segreto, ma
nessuno fu mai in
grado di scoprire il mistero della scomparsa di Brasimone, quando…
Eravamo ormai alla fine del campo e le fiamme del
fuoco di bivacco avevano già la nostalgia delle ultime
sere. Ospite inatteso arrivò il pastore, da noi tutti conosciuto
perché giornalmente passava con le sue pecore
attraverso il campo, fermandosi volentieri a chiacchierare.
L’arrivo del pastore, in un’ora così diversa dal normale
destò un interesse particolare che si trasformò in
ansiosa curiosità quando iniziò a dire che, dietro insistenza
di don Nunzio, aveva cercato di radunare nella sua
memoria tutti i ricordi di quando aveva sentito raccontare dai suoi nonni su Brasimone.
Ora, con l’aiuto di quei dati e per la grande conoscenza
che aveva della zona, gli sembrava di essere in
grado di poter indicare la località che avrebbe forse potuto
svelare il mistero: «Un grande albero in mezzo a due
torrenti, vicino a due sorgenti».
Egli quel posto lo aveva visto infinite volte, ma non
lo aveva mai collegato con la leggenda. Ora però… perché
non andare subito a vedere? Non era poi tanto
distante! Comparvero delle fiaccole e degli attrezzi e ci
mettemmo subito in cammino.
Alla luce delle fiaccole che si rispecchiavano lampeggiando nel ruscello, la lunga fila degli scouts paludati
ancora con la tenuta da fuoco, panni e mantello e fazzoletto
in testa, procedeva in una stretta valle, resa imponente
da un contorno di abeti.
Sembrava proprio una scena da leggenda medievale.
Il pastore ordinò l’alt: i particolari topografici sembravano
esatti.
Coi badili si fecero due o tre sondaggi, poi un rumore
sordo fece capire che forse si era trovata la posizione
giusta. Le vanghe affondarono febbrilmente tra l’erba e
asportarono uno spesso strato di terra, poi picchiarono
sul duro: era un grande lastrone di sasso.
Venti mani l’afferrarono e lo sollevarono lentamente.
Sotto comparve uno spettacolo macabro: alcune
ossa sepolte in mezzo a terra e sassi e tra esse un
teschio che affiorava con un’occhiaia vuota e l’arcata
superiore dei denti.
I capi mossero pian piano le ossa ed ecco che trovarono
una capsula di legno chiusa. Non fu possibile aprirla
sul posto.
Gli scouts si mossero di nuovo per ritornare al
campo. Ognuno commentava a suo modo la scoperta.
Varie supposizioni si accavallavano ma comune era la
curiosità di conoscere il contenuto della capsula.
Attorno al fuoco i capi si misero all’opera.
Si sentiva solo il crepitio della fiamma, tutti gli occhi
erano fissi su di un punto.
Finalmente la chiusura fu tolta e comparve una pergamena: