Tutti gli scout non devono dimenticare di compiere la Buona Azione giornaliera! Ognuno ha il proprio metodo per ricordarlo e noi andiamo a conoscere come nasce la tradizione degli scout di Villanova
Se avrete occasione di attraversare il campeggio degli
scouts o delle guide di Villanova o, sentirete ogni
tanto nell’aria il suono festoso di alcune piccole campanelle,
appese agli alberi.
Ce n’è almeno una per ogni squadriglia, con una striscia
di carta appesa al batacchio a mo’ di banderuola, che
prende il vento e la fa tintinnare.
È un richiamo argentino, delicato ma insistente :«La
B.A.! La B.A.! La B.A.!».
Un tempo, gli scouts e le guide per ricordare questo
loro impegno quotidiano di servizio, quando al mattino
indossavano il fazzolettone, annodavano insieme le due
punte inferiori e poi… non erano contenti finché non
avevano trovato l’occasione di fare una Buona Azione e
quindi di sciogliere anche quel nodo che ricordava il loro
impegno quotidiano.Naturalmente fatta una B. A. (come si dice in gergo
scout) non si era dispensati da farne altre…
Era un punto d’onore scoprire più occasioni possibili
di rendersi utili e servizievoli.
Il famoso romanziere francese Victor Hugo ha scritto
che «Vivere soltanto per sé è una malattia.
L’egocentrismo è la ruggine della personalità».
Lo scout e la guida, per definizione, hanno il desiderio
di crescere sani e con una personalità forte e quindi…
Almeno una Buona Azione al giorno debbono farla, a
costo di andarla a cercare. Come si può altrimenti andare
a letto tranquilli, senza «aver fatto un po’ di bene per
avvicinarsi di più al Divin Figliolo Gesù», come dice la
nostra preghiera?
Quel nodo visibile era anche un «invito» a chi si
incontrava perché approfittasse della disponibilità che gli
veniva offerta da ragazzi desiderosi di rendersi utili.
Vorrei ricordarvi poi che nello spirito di Bi-Pi (così
gli scouts chiamano confidenzialmente il loro fondatore
Baden-Powell)la Buona Azione era immaginata come un
«buon tiro birbone», ossia uno scherzo buono, piacevole
per chi lo riceve.
Ecco: uno scout trova la sua gavetta lavata! Chi sarà
stato? Ai ragazzi piace scherzare; perché non indirizzare
questa loro caratteristica verso il bene piuttosto che
verso la molestia del prossimo?
Anche la comunità avrà allora un vantaggio e non un’incrinatura, come nel caso dello scherzo fastidioso.
Nella Buona Azione, come in uno scherzo, deve rimanere,
in quanto è possibile, la ricerca della sorpresa e il tentativo
di lasciare sconosciuto l’autore.
La B. A., lo avrete già capito, deve essere a vantaggio
di altri, non di se stessi. Non vale dire: «Oggi ho studiato
quindi ho compiuto la B.A.», anche se l’impegno scolastico
è cosa buona e può… sorprendere i genitori.
Deve anche essere voluta, ossia cercata deliberatamente
al di là del proprio dovere quotidiano. Non può
uno scout addormentarsi tranquillamente alla sera se
nell’esame di coscienza è stato costretto a cercare tra le
tante cose fatte nel giorno per trovarne una a cui appiccicare
l’etichetta di B.A.
Oltre al nodo ci sono anche altre astuzie per ricordare
questo primario dovere dello scout.
In un Jamboree, un’esploratore americano mi regalò
- e la conservo ancora gelosamente - una bella medaglia
- coniata proprio per ricordare la B.A. Su un verso è
riportato il giglio scout, segno del cammino nella giusta
direzione e nell’altro la frase: «Passami dalla tasca destra
(dei calzoni) a quella sinistra - quella del cuore - quando
avrai fatto la B.A.».
A un ragazzo capita spesso di mettere le mani in
tasca e quindi una medaglia come quella non può passare
inosservata se è ancora a destra.
Le stesse maniche rimboccate, tipiche dell’uniforme
scout, sono il segno distintivo di un ragazzo attivo, che
cerca di rendersi utile. Mettetevi ben in testa che sacrificare
tempo ed energie per il bene del prossimo non è
una perdita; è un arricchimento, che rende più felice
anche la propria esistenza.
Iddio ci ha fatti secondo questo preciso progetto: più
diamo più riceviamo.
«Il risparmio energetico» nel campo del bene…
impoverisce.
Lo Scautismo lombardo stampava una volta una
bella agenda quotidiana, che doveva servire soprattutto
come diario delle attività scout. Aveva un titolo ben
indovinato: «scinò», ossia sciogli il nodo (tutti i giorni).
Ma torniamo alle campanine degli scouts di Villanova. Com’è sorta quell’usanza?
Dovete sapere che fino a qualche anno fa due vecchi
fratelli vivevano in una casa isolata tra i monti dell’alto
appennino bolognese. Là erano nati e là erano rimasti
per tutta la vita.
Mancavano le strade e non arrivava la luce elettrica
ma in compenso l’acqua era buona e abbondante, l’aria
pulitissima e la legna a sufficienza per tenere sempre
accesa una bella fiamma nel camino. Ogni stagione
variava il panorama, accendendo i propri colori semprevivi:
dal giallo dei prati fioriti della primavera al rosso
delle foglie d’autunno, al bianco smagliante delle nevi
d’inverno.
Una volta la famiglia era numerosa. I figli erano una
ricchezza perché lassù tutto si lavorava a mano e si trasportava
a spalla.
I Marchetti, così si chiamavano, si sentivano ricchi
anche perché vivevano sul «proprio» e ciò era sufficiente
per assicurare l’esistenza. Allora la gente aveva poche
pretese: bastavano un po’ di frumento per il pane, una
decina di pecore per il latte e il formaggio, il maiale le
galline e soprattutto le castagne e una gran fede in Dio.
Le scarpe si toglievano per S. Giuseppe e si rimettevano
dopo i Santi. Ogni venti giorni passava il bottegaio della
frazione più a valle col somaro: portava sale, un po’ di
carne e qualche altra cosuccia e ritirava in cambio dei
formaggi. Tra andata e ritorno impiegava una mattina, ma forse un po’ di tempo lo dedicava ad osservare la selvaggina
poiché era un cacciatore accanito. Lassù c’erano allora anche altre costruzioni di sasso,
immerse nel verde, ma servivano solo da alpeggio per l’estate.
Le famiglie che le usavano, ritornavano in paese
con gli animali dopo la raccolta delle castagne, quando i
giorni diventavano più corti. I Marchetti invece rimanevano.
Pian piano, col tempo, la famiglia cominciò a sfoltirsi:
qualcuno partì attirato dal lavoro e dai guadagni del
fondovalle, qualche altro morì. Alla fine rimasero solo i
due fratelli, che non si erano sposati, e una manciatina di
animali. La loro vita era regolata dalla luce del giorno e
dall’alternarsi delle stagioni.
Negli ultimi anni la loro casa fu un punto obbligato
di passaggio per gli scouts che si accampavano più in
basso verso il paese di Stagno. L’Hike personale di ventiquattro
ore in val di Nadia, su per Caprevecchie e giù
per Barbamozza, era il vanto degli scouts più anziani e...
il timore dei più giovani.
La casa dei Marchetti, a più di mille metri di altitudine,
rappresentava uno dei rifornimenti di acqua e
anche l’occasione unica per scambiare una parola e chiedere
una notizia o un’indicazione sui luoghi, poiché
ormai lassù da anni non passano più nemmeno i cacciatori
o i guardiaboschi.
E fu così che Italo, uno dei due vecchietti, una volta
che passammo con tutto il Reparto, ci regalò la prima
campanina.
L’aveva portata, addirittura dal Giappone, un altro fratello, che dal monte si era convertito al mare diventando
marinaio. Con la saggezza dei vecchi lupi di mare
aveva detto ai fratelli:
«Quassù si sente
solo il canto degli
uccelli e il belare
delle pecore.
Ricordatevi che nel
mondo c’è anche
tanta altra gente e c’è
il Signore. Io, che ho
viaggiato tanto, ve lo
posso proprio confermare.
Attaccate questa
campanella ad un
albero, come fanno i
giapponesi; il vento
la farà tintinnare e
allora vi ricorderete
di me e degli altri».
Poi era partito
per l’ultimo viaggio:
ven-ne la guerra e
non tornò più. La
sua campanina fu
attaccata ad un ramo di marasco accanto alla casa .
Gli scouts la notarono subito ed uno, più spiritoso
degli altri, disse:
«Siamo così in alto, vicino al Paradiso, che sugli alberi
fioriscono addirittura le campane!»
La battuta scherzosa piacque al Marchetti, che
staccò la campana e ce la porse.
«Prendetela voi - disse - io sono quasi arrivato al
Paradiso; voi invece avete ancora tanta strada da percorrere
nella vita. Beata giovinezza! Fate suonare questa
campana, ascoltatela e ricordatevi soprattutto di quanti
hanno la solitudine nell’anima e nel cuore. Ve lo dice ‘un
vecchio eremita’ che non si è mai sentito solo».
Fu così che la prima campanella iniziò il suo dialogo argentino con gli scouts e le guide di Villanova, durante
i campeggi estivi. Da allora altre se ne sono aggiunte:
una ogni buona azione realizzata dai Reparti.Appese agli
alberi, pare proprio che sussurrino con cortese e lieta sollecitudine:
«B.A.! B.A! B.A.!».
E se qualcuno volesse fare le orecchie da mercante,
vi assicuro che allora il loro suono diventa martellante e
rintrona nella coscienza.
Qualche anno dopo, il più anziano dei Marchetti
morì all’ospedale e Italo rimase solo tra i suoi monti,
invano sconsigliato dai nipoti.
Nel dicembre dell’Ottanta venne una gran neve,
tanta da mettere in pericolo il tetto della casa. Decise
allora di scendere a valle dai parenti. Una bufera allora lo
sorprese e morì assiderato lungo il sentiero, mentre in
lontanaza le campane della parrocchia suonavano
l’Avemaria della sera.
Le nostre campanine ora suonano anche per lui e ci
ricordano che nessun uomo è solo.