Questa è la storia di alcuni topini di chiesa. Mizzi, la nostra protagonista sente il bisogno di "fuggire".. Buona lettura !
Tanto tempo fa vivevano in un'antica chiesetta alcune famiglie di topi. Avevano costruito le loro casette dietro gli altari laterali e le avevano imbottite con carta finemente rosicchiata che proveniva da un libro di preghiere dimenticato in chiesa.
I topi l'avevano trascinato dietro l'altare, ne avevano strappate le pagine e poi le avevano distribuite fra loro.
Ma per quanto i rifugi di carta fossero costruiti ad arte e per quanto il sole potesse splendere caldo, i topi all'interno della chiesa avevano sempre freddo. Le grosse, vecchie mura di pietra non facevano passare il calore e d'inverno la cosa diventava grave.
Malgrado ciò, i topi restavano nella chiesa. Era la loro casa, li erano nati e cresciuti, e non potevano immaginarsi di vivere altrove. Amavano il profumo dell'incenso e delle candele, ascoltavano con piacere il suono dell'organo e quello delle campane che dava loro un senso di sicurezza.
Solo Mizzi, un topo giovane, se ne voleva andare. A settembre era stato portato per la prima volta dai compagni all'annuale raccolta delle noci. Si erano arrampicati sulla finestra della sacrestia ed erano andati nel giardino del parroco dove, per una settimana, avevano raccolto noci da portare poi in chiesa.
A Mizzi era piaciuto molto stare in giardino. Il sole autunnale era mite e caldo e il topo non avrebbe voluto mai rientrare, ma i topi più anziani erano inflessibili.
«Ti sembra facile!», avevano detto. «Ma fuori nessun topo può sopravvivere. Ci sono gatti e altre bestie pericolose che vengono di notte e ti divorano in un baleno! E d'inverno, all'aperto, fa molto più freddo che in chiesa. No, no, lèvatelo dalla testa, Mizzi».
Mizzi aveva capito che gli altri topi avevano probabilmente ragione, ma da quando era stato nel giardino non aveva più pace. Quasi ogni notte sognava fiabeschi luoghi ove c'erano cibi ben diversi dalle eterne noci, dove c'era luce e caldo e non c'erano nemici. Sognava quei luoghi con tanta chiarezza da esser certo che esistessero. Ma dove? Ecco il problema. E poi, come arrivarci? Provò a parlarne con Giovanni, un topo della sua età. Lo trovò sull'acquasantiera, che faceva penzolare le gambe.
«Un bel freddo oggi, vero Mizzi?», lo salutò. «Andiamo alla luce perpetua e riscaldiamoci un po'», rispose Mizzi.
«Ottima idea!». I due topini scesero a terra e andarono verso l'altar maggiore. Di pomeriggio la chiesa era come morta. I topi lo sapevano e si muovevano tranquillamente.
Timidi raggi di sole cadevano dal vetri variopinti, disegnando ghirigori colorati sul pavimento. La luce perpetua era su un alto piedistallo e i topi vi si arrampicavano facilmente. Si appoggiavano al cilindro di vetro rosso scuro godendo il dolce calore che ne emanava. Dentro al cilindro di vetro c'era un grosso cero e quella era l'unica fonte di calore della chiesa.
Tacquero per un po'. Poi Mizzi disse: «Giovanni, hai mai pensato di andartene via di qui?».
Giovanni rise: «Sì, certo, ci ho pensato. Ma sono tutte fantasticherie, Mizzi mio. Credimi, qui in chiesa è il posto più bello. Io non me ne andrei mai. Nessuno sa realmente com'è lì fuori!».
Mizzi non rispose niente. Aveva già fatto i suoi progetti. Lui non temeva il pericolo. Voleva andarsene.
La domenica seguente, verso la fine della Messa, Mizzi si allontanò dagli altri topi e sgusciò tra i banchi in attesa del momento propizio. Questo giunse quando le persone si alzarono improvvisamente. La loro attenzione era rivolta al parroco e Mizzi s'infilò tra loro, vide la signora Offi, adocchiò la sua borsa semiaperta, fece una scalata e vi sparì dentro.
Si ficcò nel fondo, scostando un rosario e nascondendosi sotto un fazzoletto fresco e profumato. Tutto si svolse bene. Alla fine della Messa la signora Offi mise il libro di preghiere nella borsa, la chiuse e andò a casa. Qui depose la borsa sulla panca della cucina, tolse il rosario e il libro e andò nella vicina camera da letto per cambiarsi d'abito.
Mizzi vide che l'aria era sicura. Uscì dalla borsa e si guardò intorno.
La prima cosa che notò era il meraviglioso calduccio della stanza che l'avviluppava come un mantello invisibile. Per la prima volta in vita sua, vide un termosifone. Si infilò dietro l'elegante «copritermo» in legno e ottone e lì si acquattò. Si addormentò quasi subito.
Mizzi passò un'intera settimana dietro il copritermosifone. Di notte, quando la famiglia dormiva, passeggiava per la cucina e rosicchiava pane, formaggio e tutto quello che trovava.
In questo modo però i signori Offi si accorsero della sua presenza. I cibi erano indiscutibilmente rosicchiati da un topo e fu presa la decisione di mandare il gatto Bullo alla sua ricerca.
Bullo si mise all'opera con grande zelo. In genere non gli era permesso di entrare in cucina e quindi l'occasione era straordinaria! Quando Mizzi vide il gatto cominciare la caccia pensò che la sua ora era suonata. Doveva scappare e subito. Balzò fuori dal suo tiepido rifugio e corse verso l'uscio che per puro caso era semiaperto. Ma Bullo era in gamba e acchiappò il topo proprio nel secondo in cui questi stava per raggiungere il cortile.
Invano Mizzi si divincolò: gli unghioni di Bullo erano inesorabili. Ma, mentre il gatto si preparava ad azzannare il topino, la signora Offi strillò: «Vai a sporcare fuori, gattaccio!».
Bullo rimase un instante interdetto e il povero Mizzi poté raccogliere tutte le sue forze e scappare. Si infilò ansimante in un buchino della staccionata e cominciò a correre per la strada.
Per Mizzi cominciarono giorni terribili. Incontrò un gruppo di topastri che lo malmenarono, sfuggì a stento a una trappola dal denti d’acciaio, rischiò più volte di finire sotto le ruote delle automobili. Per non parlare dei gatti...
Ma, alla fine, ebbe un vero colpo di fortuna: trovò un rifugio in un granaio. Non c'era una stufa per riscaldarsi, in compenso scoperse e gustò con entusiasmo i granelli di frumento. Ce n'era una montagna. Oh! Che pacchia!
In pochi giorni Mizzi sì costruì un soffice letto di batuffoli di lana trovati tra le anticaglie del posto. Si faceva delle grandi dormite e, quando aveva fame, andava alla montagna del grano e si saziava; ma purtroppo non vedeva mai anima viva, né topo né gatto né cristiano.
Arrivò dicembre e un giorno incominciò a nevicare. Mizzi uscì dal suo rifugio e guardò fuori dalla finestra del granaio. Improvvisamente sentì una strana puntura nel cuore. Aveva visto il campanile della chiesa dietro il nevischio, lontano lontano, irraggiungibilmente lontano!
«Che cosa faranno ora i miei amici, i topi della chiesa?», pensava Mizzi. «Si ricorderanno di me? Probabilmente crederanno che io sia morto!». E quanto più il topo pensava agli amici della chiesa, tanto più si sentiva solo.
Scese dalla finestra e andò nel suo rifugio. Chiuse gli occhi, ma il sonno non voleva venire. «A che mi serve la mia vita piacevole, se sono solo?», si chiedeva Mizzi. «Ora ho tutto quello che sognavo. Magnifico cibo a disposizione, un luogo sicuro e un rifugio caldo. Dovrei essere felice e contento. Ma tutto questo non ha valore, se sto sempre solo. Che cosa darei perché Giovanni e gli altri potessero stare qui!».
Rosicchiò alcuni granelli, ma non li trovò più molto buoni. «In realtà sono un prigioniero», pensò. «Un prigioniero in un paradiso! Il miglior cibo e il luogo più caldo sono nulla, assolutamente nulla, se non si hanno amici. Finalmente l'ho capito!».
In quel momento le campane della chiesa cominciarono a suonare. Mizzi si arrampicò sulla finestra della soffitta, schiacciò il muso contro i vetri gelati e con nostalgia guardò fisso il campanile lontano.
Due giorni dopo il topino prese una decisione disperata. Doveva ritornare nella chiesa a qualsiasi costo.
Ebbe una sorpresa terribile: il buchino da cui era entrato nel granaio era completamente ostruito dal ghiaccio. Ecco perché nessun altro topo era entrato nel granaio dopo di lui.
Non si scoraggiò. Cominciò a rosicchiare la porta. Ma il legno era più duro del previsto. Dopo alcune ore, gli sanguinavano le zampe ed era completamente intirizzito dal freddo.
Passarono giorni e giorni, ma non cedette mai. Finalmente, una sera, un gelido soffio d'aria lo investì entrando dal foro. Sanguinante e pieno di freddo, Mizzi sgusciò fuori. Lo accolse un forte vento e ovunque vide la neve che scintillava bluastra nella luce lunare.
Corse e corse, senza pensare ai gatti e ai topastri. Ma il freddo era tanto e si sentiva venire meno. La pallida luce della luna lo aiutò e, un attimo prima di svenire, Mizzi riconobbe la casa dei signori Offi. Gatto o non gatto, doveva entrare o sarebbe morto. Mancava mezz'ora alla mezzanotte e, proprio in quel momento, la porta si aprì: erano i bambini che guardavano fuori se nevicava. La famiglia Offi si stava preparando per andare alla Messa di Natale!
Con la forza della disperazione, Mizzi scivolò in casa. Il calore della cucina lo aiutò a riprendersi. Saltò sulla panca e poi sul tavolo dove aveva veduto qualche cosa di scuro che conosceva troppo bene. La borsa della signora Offi che odorava di chiesa! Mizzi sorrise e si infilò dentro. Appena in tempo! La borsa venne sollevata, la porta aperta e rinchiusa mentre il vento urlava e dei passi scricchiolavano sulla neve... E poco dopo udì un sordo mormorio di gente. Passi sul pavimento di pietra, poi uno strascicare di piedi sul legno.
La borsa venne aperta e fu preso il libro delle preghiera. Silenzio. Mizzi guardò fuori. Il suo cuore batteva e batteva. Che odori! Era giunto a casa!
Cominciò la musica d'organo e la gente sì alzò dai banchi. Mizzi balzò sul pavimento, corse, inciampò, si riprese e seguitò a correre. Poi guizzò attraverso il corridoio centrale: ecco la prima fila dei banchi, ora a destra, ora c'era il tappeto rosso e lì c'era il piccolo altare laterale. Un salto! Ed era fatta.
I topi della chiesa sedevano tutti insieme sotto l'altare quando apparve Mizzi.
«Miiiizzi!», gridarono tutti insieme.
L'organo suonava e tutto era bello...